“Praticare agricoltura biologica – ci spiega Claudio Bosco – ha effetti molto meno climalteranti rispetto all’agricoltura convenzionale, vediamone i motivi: in primis le ridotte lavorazioni del terreno, con l’abbandono dell’aratura, nell’intento di preservare il più possibile gli organismi che vivono nel suolo. Si ricorre perciò a lavorazioni ridotte e superficiali, con conseguente richiesta di potenza per unità di superficie notevolmente inferiore, che si traduce in un minor consumo di carburante. La presenza di flora spontanea, controllata ma non eliminata, a fianco e in concomitanza con le colture, comporta un aumento dell’attività di fotosintesi: di conseguenza una maggior quantità di anidride carbonica viene fissata nei composti organici che in buona parte rimarranno nel terreno, entrando a far parte dell’humus presente e fissando nel suolo una maggior quantità di carbonio, rispetto ad una coltivazione del tutto priva di erbe spontanee.
L’incremento di sostanza organica del suolo, uno dei principali obiettivi dell’agricoltura biologica, ha inoltre come effetto collaterale una miglior capacità di ritenzione idrica, si riduce così almeno in parte la necessità di interventi irrigui, i quali, nel caso l’acqua venga prelevata dal sottosuolo, sono estremamente dispendiosi dal punto di vista energetico e comportano un elevato consumo di carburanti o di energia elettrica.
Non va inoltre dimenticata l’elevata quantità di energia necessaria per i processi industriali di produzione di concimi ed agrofarmaci, gli eventuali processi di raffinazione dei minerali, il trasporto su lunghe distanze dei medesimi, le materie prime impiegate per la produzione delle molecole sintetiche ed anche degli imballaggi. Tutte queste attività sono fortemente impattanti sul bilancio energetico delle colture, e andrebbero prese in maggior considerazione.
Per contro, in ambiti specifici quali ad esempio alcuni settori della frutticoltura, l’uso di prodotti consentiti in agricoltura biologica, che sono meno efficaci e meno persistenti, rende necessario un numero maggiore di trattamenti contro alcune avversità patologiche, causando in questo caso un incremento dei consumi di combustibili.
Da un punto di vista personale, però, a proposito dell’ultima considerazione, dico spesso che ‘c’è
bio e bio’, in quanto nel tempo il biologico è diventato un settore di mercato appetibile, e molte
aziende vi si sono dedicate semplicemente sostituendo i mezzi tecnici utilizzati.
Se dal punto di vista normativo questo tipo di attività risulta ineccepibile, non comporta però un cambio della mentalità che sta alla base della produzione agricola. Non punta alla salvaguardia dell’ambiente
colturale né alla creazione di un equilibrio con gli organismi presenti in campo né al miglioramento
delle capacità di autodifesa delle colture dalle avversità parassitarie e patologiche, condizioni che invece, se attuate, consentono di ridurre drasticamente la necessità di interventi a difesa delle stesse”.